UNA CALABRIA che SognIamo
l’amico Franco Cimino in un sua pregevole nota “ tutti in guerra nella Calabria delle rovine “ dà una sua lettura di speranza che mi ha fatto, anche se per poco, sognare! Io vorrei che la Calabria potesse tornare ai fasti della cultura “ pitagorica” o alla descrizione omerica ma.. purtroppo la realtà è diversa anche se non dispero nella rivoluzione culturale che merita questa mia regione.
Oggi la Calabria è purtroppo divisa per mano di una “classe di potere “ alla quale nulla interessa del possibile progresso di questa sfortunata regione. Una “classe di potere” che ha di fatto paralizzato l’attività amministrativa, che ha prodotto solo uno sviluppo caotico,irrazionale che ha prodotto la perdita di identità sociale e culturale di tutto un popolo. La Calabria è un “ caso a sé “ , un “ caso nazionale “ se pensiamo alla precarietà di molti redditi , ma anche ai rapidi arricchimenti , alle profonde disuguaglianze – a livello abitativo, di servizi, di attrezzature civili, di opportunità culturali vere.
La Calabria oggi è una regione basata quasi esclusivamente sul terziario parassitario e con una rilevante massa di “ sottoproletariato” mimetizzato nei “ quartieri dormitori” . Una regione che ha assorbito il “modello burocratico” senza, però, acquistare quel potere decisionale che contraddistingue l’attività delle grandi centrali amministrative. Le grandi disfunzioni a livello urbanistico disegnano una situazione che nei fatti si è tradotta nella distruzione della identità culturale di questa terra, nella impotenza imprenditoriale, nello sperpero della ricchezza, nello espandersi di una ‘ndrangheta ben individuata e definita dalla magistratura!
La “ classe del potere” vorrebbe che non si dicesse la verità sulla Calabria perché comprende che dire il vero rappresenta la condanna ai metodi perseguiti perché questa regione precipitasse nel degrado assoluto.
Ebbene, rappresentare una situazione, individuare le contraddizioni , non basta; bisogna risalire alle responsabilità, alle complicità, bisogna rendere chiari i meccanismi, le cause prime dello sviluppo distorto che ha avuto questa Terra. Non è semplice far questo in una regione dove imperversa la cultura dell’omertà ma è certo che l’ anima dello sviluppo non è stato il bene comune, bensì il profitto affaristico di pochi, non è stata la crescita civile dell’intera comunità ma l’impinguarsi di una rete famelica di “ clienti “.Se improvvisamente fossero introdotte nella macchina regionale e comunale nuovi criteri di utilizzo delle risorse, reali forme di snellimento e di trasparenza nelle procedure, concrete iniziative di promozione e di sviluppo, chissà quanta gente “ del potere e non “ finirebbe per essere danneggiata nei redditi e nei privilegi.
Che cosa, allora, meglio di una permanente “palude “ per difendere il parassitismo e l’assistenzialismo ? Che cosa meglio di governi senza velleità programmatorie per proteggere il sistema dalle intrusioni esterne o dai possibili sommovimenti interni ?
E’ questa la logica che prevale, aggregando consensi, contagiando i partiti, compromettendo i sindacati, inquinando la stessa vita di relazione.Una logica suicida la quale, innestando meccanismi perversi nel lavoro e nella produzione, disperdendo programmi ed entusiasmi, imbrigliando intelligenze ed idealità, ha finito col ridurre le “Amministrazioni pubbliche” in meri enti erogatori senza più prestigio e autorevolezza. Dimenticando che “ .. l’attuazione del bene comune costituisce la stessa ragion d’essere dei pubblici poteri.. per cui ogni atto dei pubblici poteri che sia o implichi un misconoscimento o una violazione del bene comune è un atto contrastante con la stessa ragion d’essere e rimane per ciò stesso destituito di ogni valore giuridico “ Sono riferimenti alla “ Pacem in Terris “ ma il “ potere cattolico-curiale calabrese” disconosce la missione evangelica !
E’ questo il sistema che ha costituito l’humus della “delinquenza organizzata “. La ‘ndrangheta , in assenza di un serio “potere legale” realmente rappresentativo, ha trovato così il terreno ideale per svilupparsi. LA ‘NDRAGHETA - così hanno detto tanti magistrati – non ha bisogno di controllare le istituzioni basta che esse rimangono quelle che sono: più di complici ha bisogno di assenti!
Il dissenso, il ricorso ai valori civili se non si trasformano in fatti organizzativi, in progetti comuni di impegno e di lotta non hanno senso, così come resta nell’ambito dei sogni quello di sperare in una possibile rigenerazione delle forze politiche – e non solo politiche - per spontanea germinazione. Né vale delegare tutto alla Magistratura senza la quale la Calabria non avrebbe più posto nella geografia del <Paese> !
Capire la Calabria, oggi deve essere una scommessa alla quale non ci si dovrebbe sottrarre se si vuole evitare che assoluzioni o condanne sommarie vengano operate le prime e le seconde per slogans. Una scommessa per rompere quelle vecchie forme di localismo che hanno storicamente prodotto da un lato ascarismo politico e dall’altro fornito un importante contributo alla emarginazione della realtà calabrese rispetto al resto del paese. La scommessa è molto alta !
sergio scarpino